“C’è buon cuore nel tuo legno. D’esser uomo ormai sei degno”.
Queste sono le parole con cui la Fata dai capelli turchini conferisce al piccolo e intransigente Pinocchio la sua umanità. Raggiunta con grande sacrificio, in un lungo percorso d’iniziazione alla vita matura.
Lunedì 3 Aprile è andato in scena al Grandinetti il nostro “Pinocchio Testadura”. Uno spettacolo targato teatrop, con la poliedrica Greta Belometti e la regia di Piero Bonaccurso.
Un Pinocchio alquanto insolito, raccontato con l’arte della sabbia, versi in rima e ritornelli vivaci.
Un Pinocchio, dalla testa più dura del marmo, sempre vispo e lieto, pronto a far di testa sua. Convinto, in cuor suo, che non potrà mai accadergli qualcosa di disastroso. Poi il disastro accade, e riaccade. Un vero e proprio perdigiorno trova guai.
Scopre, altresì, di essere vulnerabile, e che non tutti sono buoni a questo mondo.
Il tutto è raccontato da un amabile Cantastorie. Un personaggio misto tra una un’insegnante e un giullare, che ricalca il carattere scanzonato di un bambino paroliere, il quale sa una storia che deve assolutamente raccontare. Il nostro menestrello gira il mondo in bicicletta, e per scacciare le paure dei piccoli racconta narrazioni.
Sceglie per l’occasione la storia di Pinocchio. Il bimbo che solo dopo tanti errori impara a non aver paura, e così, raggiunge l’aspirata felicità.
La magia delle strade che percorre è segnata dall’incontro con un bel gruppetto di personaggi, molto singolari. Riuscirà ad avere abbastanza coraggio nelle tante avventure che lo aspettano?
Le distrazioni che questo viaggio gli regala e l’ingenuità che ne consegue, divertono Pinocchio, che alla fine viene attirato dalle farfalle. Le segue, pur senza pensare che sta marinando la scuola. Ascolta la musica del paese dei Balocchi come se fosse trascinato da un misterioso richiamo; verso l’alterità, l’ignoto e la contingenza del fato.
Si lascia vivere. È puro istinto senza ragione.
Il grande cammino che percorre porta con sé scelte poco ponderate. Non ne ha mai abbastanza. Solo a volte, quando la solitudine lo assale, invoca la Fata dai capelli turchini, l’unica a conoscere la sua vera natura.
Pinocchio non è mai avido, cerca il danaro per aiutare il padre. Non va a scuola perché è ispirato dai luoghi e dalle persone. Vuole imparare qualcosa di informale e inaspettato. Che possa stupirlo. Pinocchio non dice bugie, racconta altre verità.
La storia continua, e tu spettatore, ti ritrovi a guardare i disegni della sabbia arte, incantato. Lo sguardo è fisso, e resti, senza volerlo: a bocca aperta. Il cantastorie a questo punto viene come fagocitato dal personaggio di Pinocchio. Gli spettatori, trasportati dalla vicenda, a questo punto non riconoscono più chi è pinocchio e chi è il cantastorie.
Questo spettacolo scopre un Pinocchio non più bugiardo, ma vivo. Leale con la scoperta di sé e del mondo. Succede infatti che a volte diamo adito ad una pedagogia formale, che non rivela la grandezza della vita in strada.
E vengono in mente i versi del cantastorie per eccellenza, che noi di teatrop amiamo tanto; Fabrizio de Andrè:
“Non vi conviene
venir con me
dovunque vada,
ma c’è amore un po’ per tutti
e tutti quanti hanno un amore
sulla cattiva strada.”